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Strozzi, Gregorio
1615?-dopo 1687

Elementorum Musicae Praxis vol. 1

Pars Matutina

38,00

Organico:
AMM 192
9790215802933
21,5x31
92
Bonifati, Rossella
Armelin Musica
INTRODUZIONE L’ Elementorum Musicae Praxis, pubblicata a Napoli nel 1683 è la terza opera data alle stampe dallo Strozzi e segue di ben vent’otto anni la sua prima pubblicazione di musica sacra intitolata”Responsoria” e di un certo numero di anni l'”Officio del Santo Natale” andato perduto. Precede, invece, di quattro anni i “Capricci da sonare Cembali et Organi”. Esiste inoltre un manoscritto, quasi certamente autografo, contenente varie composizioni cembalo-organistiche composte dal 1647 al 1675. Il volume si compone di 2 libri relativi alle due parti vocali (Cantus, Tenor) di 95 pagine ciascuno e si divide in due sezioni: la “Pars Matutina” e la “Pars Vespertina”. Dei brani componenti l’opera i primi 38 sono inseriti nella Parte mattutina e i rimanenti 27 nella Parte vespertina. I due libri del Cantus e Tenor contengono, inoltre, rispettivamente, in apertura, un doppio canone a 4 voci sulle parole “Dignare me laudare Te, Virgo sacrata” e un Contrappunto su Cantus Firmus costituito dalla melodia dell’Inno gregoriano “Ave Maris Stella”. Il corpus dell’opera è pertanto formato da 65 brani a due voci, di stile vocale alcuni, strumentale altri, molti dei quali in forma di canone e aventi qualche riferimento alle ore canoniche delle stagioni liturgiche. Trattasi di una raccolta unitaria di meravigliosi “duetti” e di canoni di varie specie che non può non farci pensare a qualche altro successivo esempio nella storia della musica, come (fatte le debite differenze) le Invenzioni a due voci e l’Arte della fuga di J.S. Bach. Con questa seconda opera l’Elementorum… ha in comune il fatto che essa è stata scritta e pubblicata senza alcuna indicazione relativa al mezzo di esecuzione. Anzi, l’Elementorum Musicae Praxis può essere considerata un tassello significativo nella storia ed evoluzione della Fuga, perché pur partendo da un impianto modale, molte composizioni presentano già quei tipici elementi tecnico – formali propri di questa gloriosa forma musicale, senza parlare poi della bellezza di molti brani (nei quali si riversa copiosa tutta l’abilità dello Strozzi nel trattare due parti in polifonia) e delle sue doti di armonista barocco – napoletano che compaiono in tutta evidenza. Lo stesso Strozzi nella dedica che precede i suoi “Capricci per sonare Cembali et Organi” riferendosi all’opera Elementorum… scrive: “…Dedicai poscia all’Augustissima Triade, Principio d’ogni Armonia, i miei Elementi Armonici…” Va da sé che l’aggettivo “armonico” è pregno di significato e va al di là di ciò che oggi, soprattutto in ambito scolastico, s’intende per Armonia. Sebbene tutti i brani si mantengano nell’ambito accessibile alle mani di un cembalista od organista e non oltrepassano mai l’estensione Do1 – La4 (propria di una tastiera dell’epoca con prima ottava “corta”), lo stile severamente contrappuntistico di quest’opera non è peculiare di alcun specifico strumento o complesso. Sono certamente vocali i brani “Dignare me, laudare Te, Virgo Sacrata” e il numero 56 “La sola farfalla” in cui l’autore abbina i vari passaggi in solmisazione con le sillabe costituenti le parole, ma anche in altri brani (come il numero 2 “Nemo solus sibi ipsi…”) vi è una chiara applicazione della tecnica delle “mutazioni esacordali” a scopo didattico. I canoni dello Strozzi appartengono a quel vasto florilegio di opere didattiche che già dal Rinascimento rappresentavano la palestra di esercitazione e studio in vista del conseguimento di una sicura preparazione musicale sia esecutiva che compositiva e a cui anche degli editori napoletani avevano prestato una qualche attenzione. Tutti i brani sono preceduti da massime in lingua latina con finalità morali la maggior parte delle quali di autore ignoto (forse dello stesso Strozzi), alcune tratte dalla Bibbia e una dall’opera “De virginibus…” Libro II di S. Ambrogio. C’è da dire a questo punto che il carattere di ogni composizione ha uno stretto legame con il significato del motto che funge da titolo. Alcune volte questa relazione è di tipo formale, esteriore, come nel canone retrogrado n.61 che ha per titolo “Non progredi in via Dei, est Retrogredi” e nel brano n.51 intitolato “Per nigridinem, humanitas non mutatur” , scritto interamente in note “denigratae”; altre volte il legame è ben più profondo e sottile e investe elementi (ritmici, melodici, armonici, etc.) singoli o in combinazione dell’intera costruzione musicale. Negli ultimi dodici brani della Pars Matutina (dal n.26 al n.37) lo Strozzi affida poi alla musica funzioni speculative ed iniziatiche; comincia col far rappresentare i sei Toni dispari (cioè gli Autentici), simbolicamente dal Sole e i sei Toni pari (cioè i Plagali) dalla Luna che, come gli stessi Plagali, vive di luce riflessa. Ognuno di questi brani è perciò scritto in uno dei dodici Toni (Dorico, Ipodorico, Frigio, Ipofrigio, Lidio, Ipolidio, Misolidio, Ipomisolidio, Eolio, Ipeolio, Ionio, Ipoionio) dei quali, in intestazione, si specifica il relativo carattere. Ad accrescere ancor più l’interesse e l’enigma di queste dodici composizioni è il fatto che esse siano abbinate contemporaneamente anche ad una o più Muse (scelte tra Melpomene, Clio, Euterpe, Polimnia, Erato) e ad uno o più segni zodiacali (Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione e Sagittario – sono esclusi i segni dell’inverno-). E’ l’arcano, l’occulto, quindi, che viene ad aggiungersi agli altri aspetti e che contribuisce a fare di tutta l’ Elementorum Musicae Praxis un’opera profonda, ricca di significati, meritevole di essere studiata ed eseguita. Una sintesi dei vari aspetti e pregi di queste musiche era stata, del resto, già ben tratteggiata dallo stesso editore N. De Bonis nella sua presentazione (“Lectori Typographus”). Egli, soffermandosi innanzitutto sul significato del titolo e sull’importanza dell’arte musicale definita “disciplina pari alle altre”, traccia un breve excursus sulla storia della denominazione dei suoni partendo dal primitivo sistema delle sei lettere (A, B, C, etc.) per arrivare all’opera riformatrice di Guido d’Arezzo, considerato l’inventore di un nuovo “alfabeto” della musica, avendo utilizzato le sei sillabe (Ut, Re, Mi, etc.) iniziali degli emistichi formanti la prima strofa dell’ Inno a San Giovanni Battista. Ciò si dimostrò, insieme alla “manus armonica”, un ingegnoso espediente didattico per imparare ad intonare con sicurezza e facilità gli intervalli di una melodia sconosciuta. Il “Typographus” sottolinea, inoltre, l’ambivalenza didattica e musicale dei brani della Praxis che includono pressoché tutti i vari aspetti teorico-pratici della musica quali modi, misure, tempi, generi di proporzioni in una concezione unitaria molto vicina, afferma, al pensiero di Euclide. Infine lo Strozzi, secondo l’editore, compie una grande opera di sinossi tra musica ed astronomia attraverso l’accostamento (nei dodici ultimi brani della prima parte) dei dodici Toni e delle dodici Costellazioni. Né ciò deve essere considerato straordinario, prosegue il Typographus, “…giacché abbiamo appreso, da Platone e da Pitagora, che la totalità di queste cose non è senza armonia universale.”