Antonio Cifra (1584-1629) vive e opera in un periodo in cui l’Italia occupa una posizione centrale nel panorama musicale europeo.
Questa centralità è dovuta senz’altro all’opera di importantissimi musicisti – si pensi solo a Claudio Monteverdi, Giovanni Gabrieli, Girolamo Frescobaldi che, con le loro novità nel campo della musica profana, sacra e strumentale, portarono una vera rivoluzione nel linguaggio musicale – ma anche ai moltissimi altri compositori, più e meno grandi, protagonisti anch’essi di questa importante stagione della musica italiana, che posero le basi per l’elaborazione di tali innovazioni o vi parteciparono all’interno delle grandi scuole veneziana e romana, o della camerata dei Bardi a Firenze.
Forse proprio l’immensa produzione musicale di questo periodo è responsabile della quantità di musica ancora inesplorata che giace nelle biblioteche in edizione originale, talvolta anche di paternità illustre (basti pensare, per rimanere nell’ambito del Madrigale, alla produzione di Marenzio, ancora solo in minima parte disponibile in edizione moderna), mentre i numerosi grandi musicisti hanno inevitabilmente monopolizzato l’attenzione dei musicologi e degli storici della musica, facendo in qualche caso completamente dimenticare compositori meno noti e forse talvolta anche per questo ritenuti meno significativi.
Lo studio di questi musicisti cosiddetti ‘minori’ è però senz’altro fondamentale: da un punto di vista musicologico permette di definire il contesto in cui certe innovazioni sono state elaborate, di verificarne l’effettiva novità o esclusività, il grado di ricezione e di diffusione; da un punto di vista storicomusicale consente di ricostruire l’ambiente, la vita musicale di un dato periodo o luogo e l’importanza che i diversi generi musicali hanno avuto nelle varie epoche.
In questo senso il presente lavoro su Antonio Cifra vuole tentare di contribuire alla riscoperta di un compositore molto apprezzato dai suoi contemporanei, conteso da alcune delle più importanti istituzioni musicali del suo tempo, esponente di rilievo della Scuola Romana, insieme a Giovanni Francesco Anerio e Gregorio Allegri con i quali condivide però la quasi totale assenza di edizioni moderne delle proprie composizioni, nonostante sia ormai considerato in tutta la sua importanza il contributo dato da questa Scuola alla storia della musica del XVI e XVII secolo.
Egli, pur rifacendosi, nella sua produzione sacra, al ‘classicismo’ palestriniano, nella produzione madrigalistica partecipa invece di molte novità della cosiddetta seconda prattica, pur non avendo contatti diretti con gli ambienti mantovano e veneziano in cui operava Monteverdi.
Ciò risulta già evidente dall’analisi di questo Primo libro de madrigali a cinque voci, sebbene di impianto ancora strettamente polifonico e privo di accompagnamento strumentale (ma sappiamo che nei Madrigali concertati a V voci del 1621 e nel Sesto libro de Madrigali a V voci del 1623 è previsto il basso continuo); solo il poter disporre di edizioni critiche di tutti gli altri libri di Madrigali di Antonio Cifra potrà però permettere, da un lato, di verificare a quali esiti abbia portato il percorso musicale intrapreso da questo compositore – di cui abbiamo qui solo un primo saggio – e dall’altro di tratteggiare in maniera più approfondita la storia e le caratteristiche di un genere così significativo della musica profana italiana