PRESENTAZIONE DI JOHN PETRIE DUNN
Edimburgo, giugno 1921
Scopo di questo libro è stabilire la corretta esecuzione pianistica degli ornamenti che abbondano con tanta ricchezza nelle opere di Chopin.
L’indagine è basata, anzi si può unicamente fondare, sulle relazioni interne al testo poiché quanto per tradizione conosciamo dell’arte di Chopin sotto questo aspetto è malauguratamente vago e approssimativo, soprattutto se consideriamo quanti musicisti di rango e quanti abili dilettanti Chopin contava fra amici ed allievi.
A conferma di quanto detto potremmo citare una frase di Carl Mikuli riportata nella mirabile biografia di Frederick Niecks:
[…] I trilli, che egli [Chopin] inizia di solito dalla nota ausiliaria, si devono suonare con grande uguaglianza piuttosto che veloci.
Nel corso del libro ho voluto puntualizzare in primo luogo che i trilli semplici nelle opere di Chopin sono rari; in secondo luogo che, a parte qualche evidente eccezione, devono cominciare dalla nota principale e non da quella ausiliaria, anche se questo comporta ripetizioni o non sempre un bell’ascolto. Questo è quanto emerso dalle testimonianze disponibili in nostro possesso.
Sebbene mi sia limitato strettamente all’ornamentazione presente in Chopin, oso sperare che i principi enunciati e seguiti possano servire anche a coloro che desiderano studiare i metodi di altri compositori, non importa quanto più lontani o vicini al maestro polacco.
Gli abbellimenti – in origine quasi un prodotto spontaneo della scarsa risonanza degli strumenti sia a pizzico che a percussione – erano reale necessità per il compositore che cercava di adattare al pianoforte l’estesa emissione e la carica emozionale della voce umana. Progressivamente cambiarono funzione, persero il loro carattere improvvisato e spontaneo e divennero mezzi a disposizione del compositore per modificare a piacimento espressione e accentuazione nelle melodie, grazie alle numerose gradazioni intermedie, dall’espressione più profonda all’allusione più delicata.
Questo sviluppo culminò nei lavori di Chopin. La sua ornamentazione si contrappone all’uso meccanico degli abbellimenti e rappresenta il livello artistico più elevato nell’uso di questo artificio. Si potrà imitarlo e – ora che ne capiamo i meccanismi – magari raggiungerne un certo grado di somiglianza ma, data la sua perfezione, non si potrà mai eguagliarne la bellezza.
ABSTRACT della Postfazione di Nunziata Bonaccorsi
L’esame del testo offre lo spunto per qualche considerazione aggiuntiva e sollecita all’approfondimento di alcuni degli argomenti trattati.
Tra le difficoltà alla corretta esecuzione degli abbellimenti nelle musiche di Chopin si evidenzia l’assenza di fonti dirette. Non vi sono documentazioni sonore dei suoi allievi – l’ultimo dei quali morì nel 1922 – e le prime registrazioni si devono al pianista Francis Planté che aveva dieci anni quando il compositore scomparve.
Testimonianze valide per il periodo a lui più vicino devono considerarsi dunque i resoconti scritti di coloro che riuscirono ad ascoltarlo e, di rilievo, le lettere e il fondo musicale della sorella di Chopin, Ludwika, sposata Jędrzejewicz. Utili anche le notizie che ci giungono dai suoi allievi con le annotazioni autografe di Chopin sui libri usati durante le lezioni. I quattro volumi di Camille Dubois-O’ Meara, una delle allieve preferite del compositore polacco, sono ricchi di correzioni, diteggiature e aggiunte di ornamenti e dinamiche; varianti e appunti preziosi anche nei libri di Jane Wilhelmina Stirling, allieva devota di Chopin. Informazioni ci giungono anche da altri allievi: Wilhelm von Lenz, Georges Mathias, Pauline Viardot-García, Zofia Zaleska-Rosengardt; notizie, ancora, da Auguste Franchomme, amico di Chopin, e da Julian Fontana, copista e factotum del compositore polacco.
Vero depositario degli insegnamenti del maestro fu Carl Mikuli che dedicò la vita a questa missione; la prefazione che accompagna la sua edizione delle opere di Chopin è una delle fonti più esaustive e dettagliate di cui disponiamo. Mikuli si impegnò a trasmettere la tradizione della scuola chopiniana attraverso i suoi allievi; rappresentativo, fra questi, Raoul Koczalski per le preziose considerazioni sull’interpretazione e le numerose registrazioni.
Informazioni di seconda mano, come si vede, da comporre ed utilizzare come supporto per la lettura e l’interpretazione delle pagine chopiniane
È necessario rilevare che Chopin modificava in qualche caso la partitura originale, anche dopo la sua pubblicazione, aggiungendo fioriture. Abitudine diffusa fra altri pianisti suoi contemporanei, quali Thalberg e Liszt, che erano soliti aggiungere ottave ad libitum, cambiare le cadenze finali o modificare dettagli nelle loro composizioni anche dopo la stampa. Durante la prima metà dell’Ottocento ancora il testo poteva essere “completato” dall’interprete.
Tra i piccoli abbellimenti si deve dunque distinguere fra quelli che Chopin improvvisava durante le sue esecuzioni e quelli scritti. Secondo Koczalski, Mikuli e Lenz, Chopin improvvisava ornamenti soprattutto nei due generi dove il “rubato” è una caratteristica: i notturni e le mazurche.
Il carattere tipico delle musiche chopiniane si concretizza eseguendo “come improvvisando” tutte le note di abbellimento scritte e indicate in piccole note: appoggiature, trilli, gruppetti, e gruppi irregolari.
L’adattamento delle regole alle circostanze musicali che Chopin ci documenta trova la sua eccezione nelle testimonianze successive. Esse rafforzano nel moderno esecutore la convinzione che la conoscenza è piuttosto strumento di scelte che di certezze. L’idea guida è che i suoni devono sempre esprimere sentimenti e percezioni e tutto quanto è presente in una composizione a questo deve tendere.
La combinazione di gruppetti e ampi disegni ornamentali fanno da variante alle idee melodiche:
Questi passaggi ornamentali, o gruppetti variamente composti, appaiono più spesso quando lo stesso motivo si ripresenta parecchie volte; prima il motivo è espresso nella sua semplicità; poi arricchito con ornamenti a ogni entrata. (Jean-Jacques Eigeldinger, Chopin pianist and teacher, Cambridge 1986, p. 53).